FEDIR CONTRO LA DISPARITà DI TRATTAMENTODEGLI AVVOCATI DEL SSN

Pubblichiamo l articolo del Dr Simonetti in merito questione degli onorari degli avvocati per la quale Fedir metterà in campo ogni azione possibile ed utile per risolvere quest’altra ingiustificata ed insopportabile disparità di trattamento.

Aziende ed enti del S.S.N.

Le infinite vicende del trattamento economico degli avvocati delle aziende sanitarie

Guida Impiego pubblico|3 settembre 2024|n. 11|di Stefano Simonetti

La problematica  in oggetto - da anni  controversa e irrisolta  - ha raggiunto  questa estate picchi davvero  surreali. Nel corso del solo mese di luglio sono intervenuti due eventi particolarmente significativi ma, ad ogni evidenza,  in palese contraddizione tra loro. Il primo è la stipula del CCNL dell'area delle Funzioni locali del 16 luglio,  rispetto al quale è tornata prepotentemente di attualità la questione degli onorari degli avvocati, già oggetto di un intervento manu militari del MEF nel contratto del 2020. Le parti negoziali nella Preintesa dell’11 dicembre avevano redatto due norme che allineavano il trattamento degli avvocati delle Autonomie locali a quello dei colleghi delle aziende sanitarie. Si trattava dell’art.  27, rubricato “Compensi professionali Avvocatura pubblica” e dell’art. 48, comma 1, lettera h), che demandava alla contrattazione integrativa i “criteri per l’attribuzione dei compensi professionali degli avvocati”. Ebbene, entrambe le clausole sono state manipolate in evidente contrasto con le determinazioni assunte liberamente dall’ARAN e dalla controparte sindacale. Nell’art. 27  è stata inserita nel comma 2 la precisazione che “continua a trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 64, del CCNL del 5.12.1996” e nel correlato art. 48 si richiama ora il rispetto  “delle disposizioni contrattuali previste in materia dai precedenti CCNL delle pre-esistente Area III che, pertanto, sono confermate”. Il nocciolo duro della questione, con la conferma delle norme pregresse, si riferisce alla fattispecie della soccombenza con compensazione delle spese, circostanza per la quale agli avvocati del ruolo professionale della Sanità continua ad esse inibita la possibilità di percepire le propine, al contrario dei colleghi di Regioni ed enti locali che le incassano da sempre. Oltretutto, l’art. 64 del CCNL del 5.12.1996 prescrive al comma 2, lettera a), che il beneficio concerne soltanto gli onorari recuperati a seguito di condanna alle spese della parte avversa soccombente e, inoltre, condiziona  liquidazione all’avvenuta acquisizione delle relative somme nel bilancio dell’azienda, senza dunque alcuna anticipazione.  Torna infine in vigore la lettera d), laddove si “stabilisce una quota non inferiore al 5 % degli onorari da trattenere a copertura forfetaria delle spese generali”, condizione non negoziabile. Le ragioni di tanta pervicace opposizione sembra risiedano nella presunta mancata copertura degli oneri finanziari;  si è detto “sembra” perché non è dato conoscere i contenuti della delibera del Consiglio dei Ministri e, in particolare, del parere endoprocedimentale del MEF, ritenuto evidentemente vincolante. Nulla di più si può, peraltro, ricavare dalla delibera dell’Organo contabile con la quale è stato dato parere favorevole alla firma definitiva, in quanto le Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, nell’adunanza dell’11 luglio 2024, hanno certificato positivamente l’Ipotesi di CCNL relativo al personale dell’Area Funzioni Locali,  con le raccomandazioni contenute nel rapporto allegato alla deliberazione in corso di stesura. operazione che  – come è noto – richiede mediamente 4/5 mesi. La vicenda è preoccupante  per ragioni di merito e di metodo che chi scrive ha ampiamente esposto sul Magazine del 17 luglio scorso.

Il secondo fatto rilevante è  una pronuncia della Suprema Corte che interviene sulla vexata quaestio delle cosiddette propine. La Corte di Cassazione Civile, sez. lavoro,  con la sentenza n. 21520 del 31 luglio 2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto del lavoro pubblico: i contratti individuali che attribuiscono trattamenti economici superiori a quelli stabiliti dai contratti collettivi nazionali sono nulli. Fine modulo

Questo principio è sancito dall’arti. 45, comma 1, del d.lgs. 165/2001, che attribuisce esclusivamente alla contrattazione collettiva la competenza sulla determinazione del trattamento economico, sia fondamentale che accessorio. Nel caso esaminato, alcuni avvocati dell’avvocatura interna di un’azienda ospedaliera avevano rivendicato il diritto a ricevere compensi anche in caso di sentenze favorevoli con spese compensate, nonostante il CCNL vigente all’epoca non prevedesse tale beneficio, limitandolo alle spese cui la controparte soccombente è stata condannata. Essi sostenevano che i contratti individuali stipulati con l’ente di appartenenza, che includevano tale previsione, fossero validi perché derogavano in melius alle disposizioni collettive. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che i contratti individuali non possono derogare ai CCNL, né in senso migliorativo né peggiorativo. La Corte ha inoltre evidenziato che qualsiasi atto, regolamento o contratto individuale che attribuisca un trattamento economico non conforme alle previsioni dei CCNL è nullo e non applicabile, e obbliga la pubblica amministrazione al recupero delle somme indebitamente corrisposte. A supporto di questo principio, la Cassazione ha richiamato precedenti sentenze, come la n. 6553 del 6 marzo 2019 e la n. 6715 del 10 marzo 2021, che hanno affermato il divieto di trattamenti individuali difformi rispetto ai CCNL.  Infine, la sentenza sottolinea il rapporto gerarchico tra contratti collettivi nazionali e contratti decentrati integrativi, stabilendo che questi ultimi non possono derogare ai primi. In caso di violazione, le clausole sono nulle e vengono sostituite secondo le disposizioni del codice civile, cioè con lo strumento della eterointegrazione.

Nel caso di specie, in seguito a transazione del 25 gennaio 2011, i dirigenti avvocati avevano stipulato con l’ente dei contratti individuali in data 31 gennaio 2011, i quali prevedevano, all’art. 6 lett. B3, come nella richiamata transazione, la rinuncia alla retribuzione di risultato in cambio della corresponsione degli onorari professionali nelle vertenze patrocinate con esito favorevole. Il Tribunale di Roma, riuniti i ricorsi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5875/2014, li ha rigettati. I ricorrenti hanno proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 5430/2017, ha parimenti rigettato. Con sei motivi specifici sono infine ricorsi in Cassazione,  sostenendo  che detti contratti individuali sarebbero validi in quanto avrebbero derogato in melius alle disposizioni collettive. Ma, come anticipato, la doglianza è stata ritenuta infondata.

La stipula del CCNL e la sentenza commentata inducono tuttavia ad una riflessione. Il trattenimento economico dei dipendenti pubblici è definito dai rispettivi CCNL e qualsiasi deviazione da questo principio è nulla e comporta inevitabilmente danno erariale, sia essa contenuta in contratti integrativi  non conformi a quelli nazionali, sia che derivi da contratti  individuali, transazioni o accordi di qualunque  genere. La ipotesi di contratto collettivo dell'11 dicembre 2023, nel pieno rispetto del principio di cui sopra, aveva definito un aspetto del trattamento economico accessorio degli avvocati del S.s.n, quello degli onorari professionali. Nel testo definitivo del 16 luglio il Governo ha imposto una modifica sostanziale  alla clausola in questione. Dunque, c'è da ritenere che non sempre  il trattamento economico viene disciplinato dalla autonomia collettiva - come afferma chiaramente la legge e come ha ribadito  la Cassazione  - ma può  essere determinato unilateralmente da un organo governativo senza fornire peraltro le motivazioni, in completo spregio delle scelte  negoziali messe regolarmente in atto da ARAN, sindacati e Comitato di settore. Francamente c'è qualcosa che non torna ed è molto probabile che la problematica non sia affatto terminata e che genererà diffuso contenzioso.

 

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