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Ultimissima di Fedir

PENSIONI: CRITICITA' E DISCRIMINAZIONI PER I DIRIGENTI DELLE FUNZIONI LOCALI

Ancora una volta il governo con la legge di bilancio 2024  è intervenuto sulla tormentata materia pensionistica sotto molteplici aspetti ed in danno dei lavoratori anziani come di quelli giovani rimodulando al ribasso i rendimenti pensionistici tanto degli uni quanto degli altri e allungando i tempi di permanenza in servizio attraverso l'anticipato ripristino della speranza di vita, l'allungamento di finestre e la riduzione degli assegni pensionistici nel caso dei pensionamenti anticipati.
Particolarmente penalizzanti sono state le nuove norme per noi iscritti alla CPDEL che si sommano alle gia numerose discriminazioni in tema di posticipazione dei tempi di pagamento della liquidazione (che INPS ancora non risolve nonostante due sentenze ammonitrici della Corte Costituzionale) e di disparità fiscali del welfare.
Di tutto ciò e delle iniziative anche giudiziarie da mettere in campo si parlerà nel convegno dal titolo 
LA PREVIDENZA E LA FISCALITÀ DEI DIPENDENTI PUBBLICI DOPO LA LEGGE DI BILANCIO. CRITICITÀ E DISCRIMINAZIONI
che si terrà  
GIOVEDÌ 28 MARZO 2024 
ORE 9.00 - 17.00 
PRESSO IL NOBILE COLLEGIO CHIMICO FARMACEUTICO 
VIA IN MIRANDA 10 ROMA
 
Scarica qui la locandina dell'evento  

Il programma del nuovo Governo è molto ambizioso e impegnativo. Le priorità sono state ben evidenziate dal Presidente Draghi nei suoi interventi in Parlamento ma, vista la complessità del programma in relazione alla pandemia, alla situazione economica e alla annunciata transizione, c’è solo da augurarsi un deciso cambio di approccio della politica soprattutto nella sua fase esecutiva. Per ciò che concerne la Sanità, non si può non tenere presente che proprio sette giorni dopo il giuramento del Governo è stata celebrata la prima “Giornata nazionale” dedicata ai sanitari, istituita dall’art. 8 della legge 113/2020 e questo evento può essere a buona ragione considerato simbolico di come l’azione politica deve passare dagli annunci e dalle celebrazioni ai fatti concreti; a tale ultimo proposito si è fatto ben poco e gli operatori sanitari meritano meno cerimonie e più interventi concreti. C’è chi ha detto giustamente meno riconoscimenti e più risarcimenti.
Poiché le misure urgenti e ineludibili da realizzare comportano alcune "riforme" è realistico e doveroso ricordare come il nostro Paese abbia enormi difficoltà a cambiare veramente qualsiasi cosa e la memoria storica – quantomeno degli ultimi venti anni ma non scordiamoci del Gattopardo – non depone favorevolmente per essere ottimisti rispetto ai cambiamenti necessari, a cominciare dalla riforma della pubblica amministrazione tanto anelata, praticamente da tutti. Ad esempio, il Presidente dell’Anci Decaro ha manifestato entusiasmo per l’intenzione ferma di riformare la Pubblica amministrazione nel senso di una maggiore efficienza e di una indispensabile modernizzazione. Non c’è dubbio che i Sindaci dovranno essere attori protagonisti della sfida. Sarà poi fondamentale capire se quello che verrà attuato costituirà una risposta congiunturale all’emergenza pandemia o riuscirà a costituire un cambio di velocità degli interventi governativi – e, insisto, di approccio culturale – che diventi strutturale. È dunque irrinunciabile un salto di qualità del dibattito politico che dimostri piena consapevolezza della posta in gioco e delle reciproche responsabilità che devono vedere l’abbandono di ogni ricerca di consenso e tendere solo alla salvezza delle generazioni future. Quasi tutti parlano di diritti e rivendicano interventi di vago sapore corporativo; quasi nessuno ricorda i "doveri" e il passaggio meno citato della Costituzione è probabilmente quello del secondo comma dell’art. 4 laddove si afferma che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Come sembra distante il famoso discorso di John Kennedy ! Un altro aspetto che deve cambiare – è qui sembra che il Governo sia partito bene – è quello della comunicazione che anche sul semplice piano formale deve rivedere i modi e i tempi dei verbi: basta “faremo”, “stiamo studiando”, “è in corso l’approfondimento” perché i cittadini hanno il diritto di sentire soltanto “abbiamo fatto”.
Tuttavia, per una vera mutazione della pubblica amministrazione non si tratta di puntare sull’aspetto normativo ma su quello culturale e, naturalmente, cambiare i comportamenti è assai più difficile che elaborare l’ennesima “riforma” che si allineerebbe a quelle – almeno quattro – dei soli ultimi dodici anni. Come dimenticare che nel 1951 l’attuale ministero della Pubblica amministrazione si chiamava Ministero della Riforma burocratica e successivamente ha cambiato nome sedici volte ? Nella mia vita lavorativa ho vissuto in prima persona quattro riforme della Sanità, ho ascoltato infiniti annunci di cambiamento, ho visto (non realizzate) la “decertificazione” e la “dematerializzazione”, ho letto decine di sentenze assurde, ho incontrato tantissimi amministratori, professionisti e semplici lavoratori bravissimi e onesti ma anche tanti che, invece, hanno pensato soltanto ai loro interessi e al “particulare” che evidentemente è consolidato nel Dna degli italiani. Quindi, non per pessimismo, ma per un sano approccio realistico e prudente, vorrei aspettare ad allinearmi al pregiudiziale clima di entusiasmo e, con l’occasione, mi permetto di ricordare alcuni scenari fortemente radicati nel nostro Paese che devono essere la cartina di tornasole per cambiare questo Paese. Ma di che Paese stiamo parlando ? Un Paese che esalta gli infermieri e i medici chiamandoli “eroi” e “angeli” ma poi li abbandona, specialmente gli infermieri, quando deve concretamente investire su di loro e, in questo senso, il mancato ricorso ai fondi del Mes – da ritenere ormai del tutto abbandonato - grida vendetta.
Un Paese che continua a generare precariato nel pubblico impiego e riesce solo a prorogare da tempo immemore forme anomale di stabilizzazioni in forte odore di incostituzionalità.
Un Paese che per una causa di lavoro di un gruppo di infermieri tollera che la pronuncia definitiva sulle progressioni orizzontali arrivi dopo venti anni dall’evento contestato (vedi Cassazione, sez. lav., ordinanza n. 27932 del 7.12. 2020).
Un Paese che non riesce mai a rispettare le cadenze dei rinnovi contrattuali dei “suoi” dipendenti cioè di coloro che in suo nome devono garantire sanità, istruzione, ordine pubblico, previdenza, amministrazione locale.
Un Paese che ha una stratificazione sociale così capillare che genera innumerevoli formazioni politiche: attualmente se ne contano 79 – e mentre scrivevo questo articolo se ne è aggiunta un’altra - senza contare decine e decine di partiti locali e regionali (escluse comunque le liste civiche).
Un Paese che non riesce da vent’anni a darsi una legge elettorale decente causando una costante ingovernabilità e una instabilità istituzionale regolarmente pagata sui mercati finanziari e con gli investitori stranieri. Credo che solo in Italia si contino sei governi in 10 anni non eletti dal popolo.
Un Paese che conta ben quattro mafie che gestiscono un Pil pari a quello di una media nazione europea e che hanno – loro davvero – già realizzato la transizione digitale e non aspettano altro di fare “loro” i progetti sui 209 miliardi de Recovery. Mentre non ci si rende conto che la lotta alla criminalità organizzata non è solo una competenza della Magistratura e delle Forze dell’ordine ma è un problema dell’intero tessuto sociale che comprende fenomeni emulativi, a volte addirittura di velata ammirazione e che, comunque, allontana il paese legale dal paese reale.
Un Paese che ha raggiunto vette di evasione fiscale superiori ai 100 miliardi di € e, di fatto, ricorre solo a condoni impostando la questione in termini meramente monetari e non sul piano etico del dovere civico di contribuire alle spese dello Stato.
Un Paese che ignora il merito, il talento e le competenze con punte quasi di odio per i “migliori”, con gli sconcertanti record di dispersioni e abbandoni scolastici, del numero negativo dei laureati, degli investimenti nella ricerca (siamo 27mi nel mondo) e che costringe le sue eccellenze giovanili – mortificate in Patria - a cercare fortuna all’estero.
Un Paese che assicura, come è giusto, molte avanzate garanzie a milioni di lavoratori tramite lo Statuto del 1970 ma tollera un numero sempre crescente di lavoratori ai quali lo Statuto non si applica e sono quasi privi di tutele, inventando figure nuove come i rider o perseverando con un caporalato indegno di un paese civile.
Un Paese che ha migliaia di viadotti e gallerie pericolosi e centinaia di torrenti intombati che puntualmente causano vittime ogni autunno ma che riesce ad aprire un surreale dibattito sul ponte sullo Stretto.
Un Paese che eccelle nella incomprensibilità delle leggi che adotta; non è una questione solo quantitativa ma soprattutto riguarda la redazione leggi che da tempo sono il trionfo della novellazione a pettine, delle antinomie non risolte, del rinvio alla normativa di secondo livello quando invece si auspicava la legge autoattuativa; il tutto in una sostanziale oscurità per il cittadino.
Un Paese che non trova pace nel continuo contenzioso tra Stato e Regioni, quasi fossero nemici giurati e non i due maggiori soggetti che, insieme, costituiscono la Repubblica ai sensi dell’art. 114 della Costituzione. E’ sconcertante che in soli dieci anni il Governo abbia impugnato 536 leggi regionali che avevano invaso la competenza dello Stato centrale.
Un Paese che ha il proprio Codice penale che risale al 1930 ed è ritenuto tra i più severi, che ha istituito il 41-bis e che rincorre, nella teoria, provvedimenti-annuncio denominati folkloristicamante “manette agli evasori”, “anticorruzione” o “spazzacorrotti” ma nella realtà quotidiana non riesce ad applicare la certezza della pena ed è costretto ad abbandonare molto, troppo spesso l’azione penale.
Un Paese dove chi si appella o solo nomina il principio di legalità, la questione morale, l’etica dei comportamenti, chi diventa whistleblower viene irriso come fosse un povero nostalgico di altri tempi.
Un Paese che ha una magnifica tradizione di volontariato dove operano milioni di persone disinteressate ma che si serve del terzo settore come una foglia di fico per coprire disinteresse e inefficienze dalla macchina pubblica.
Un Paese che, a tutti i livelli, non sa redigere qualsiasi tipo di contratto invertendo quasi il rapporto di forza tra contraente forte e controparte debole, identificandosi sempre con quest’ultima. Non sembri esagerata o venata di disfattismo l’elencazione fatta perché riflette soltanto quello che è la quotidianità italiana di cui tutti subiamo le conseguenze negative. Se solo un terzo degli scenari indicati fossero ribaltati gli obiettivi del nuovo Governo troverebbero condizioni di realizzabilità molto più concrete e potrebbero realizzare il sogno di chi è spinto solo dall’"amore per l’Italia".

di Stefano Simonetti dal Sole 24 Ore Sanità

01 Marzo 2021

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